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Car Sharing, i rimborsi al lavoratore non fanno reddito

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Le somme rimborsate dal datore di lavoro per il servizio di Car Sharing non concorrono alla formazione del reddito del lavoratore dipendente in trasferta all’interno dello stesso Comune in cui si trova la sede di lavoro, ai sensi dell’art. 51, comma 5, del Tuir. E ciò sia nel caso in cui la fattura emessa dalla società di Car Sharing venga intestata direttamente al lavoratore, sia qualora sia intestata al datore di lavoro, trattandosi comunque di servizi equiparabili a taxi e trasporti pubblici.

Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione 28 settembre 2016, n. 83/E, sulla base della constatazione che il Car Sharing dev’essere considerato come una evoluzione dei sistemi di mobilità tradizionali.
Ai sensi del citato art. 51, comma 5, del D.P.R. 917/86, le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente 46,48 euro al giorno, elevate a 77,47 euro per le trasferte all’estero, al netto delle spese di viaggio e di trasporto.
In caso di rimborso delle spese di alloggio o di vitto, o qualora tali servizi siano forniti gratuitamente, il limite è ridotto di un terzo. Il limite è invece ridotto di due terzi in caso di rimborso sia delle spese di alloggio che di quelle di vitto. In caso di rimborso analitico delle spese per trasferte o missioni fuori del territorio comunale non concorrono a formare il reddito i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto, nonché i rimborsi di altre spese, anche non documentabili, eventualmente sostenute dal dipendente, sempre in occasione di dette trasferte o missioni, fino all’importo massimo giornaliero di 15,49 euro, elevate a 25,82 euro per le trasferte all’estero. Le indennità o i rimborsi di spese per le trasferte nell’ambito del territorio comunale concorrono a formare il reddito, eccezion fatta per i rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore.